Negromanzia. Arte o magia?

Dopo la presentazione e le tappe dei giorni scorsi sui blog di Nerdholics, Fenice fra le pagine e Infermiera Nerd, è arrivato il mio momento. Questa di oggi sarà l’ultima tappa del Blog Tour dedicato a Gideon la Nona di Tamsyn Muir, in uscita domani in tutte le librerie. Ed io di cosa posso parlarvi se non della negromanzia, elemento caratteristico di questo romanzo?

Il termine negromanzia (o necromanzia) ha origini molto antiche. Consiste nell’evocare defunti a scopo divinatorio. Era un’arte praticata in particolare dai Babilonesi, dai Greci, dai Romani e anche dagli Ebrei. I negromanti babilonesi erano chiamati Manzazuu e gli spiriti da essi evocati erano gli Etemmu.

Fin dal Medioevo il termine negromanzia è stato spesso confuso con il termine necromanzia. La negromanzia è stata designata come “magia nera” associata all’evocazione di demoni, mentre la necromanzia è la magia operata sulla morte.

Gli spiriti evocati durante i rituali di negromanzia erano malvagi ma a volte erano evocati anche angeli e altri spiriti.

La negromanzia era un’arte da apprendere che richiedeva l’alfabetizzazione e la conoscenza del latino. Tale pratica si sviluppò tra l’ XI e il XIII secolo, periodo in cui l’istruzione si diffuse e la maggior parte degli uomini erano chierici (persone consacrate al servizio di Dio).

Coloro che praticavano questa arte avevano un rito da seguire, ossia quello della purificazione. Questa includeva il digiuno, la preghiera, l’astensione dai rapporti sessuali, la testa rasata, il vestirsi di bianco e la confessione.

Ai tempi degli egizi, il Libro dei morti era erroneamente considerato come un testo antico di negromanzia. In realtà però il suo scopo era quello di richiamare un defunto dall’aldilà. La Bibbia contiene molti riferimenti inoltre contiene molti riferimenti alla negromanzia. In un passaggio, ad esempio, il re d’Israele Saul chiede alla Strega di Endor di invocare lo spirito di Samuele, da cui però ottiene solo un presagio di morte e distruzione.